mercoledì 5 settembre 2012

Il commissario Nardone – Sergio Assisi nella fiction ispirata a un uomo leggendario realmente esistito

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Giovedì 6 settembre 2012 alle 21.10 su Rai 1 iniziano le avventure de “Il commissario Nardone”, una nuova fiction con protagonista Sergio Assisi, liberamente ispirata alla figura del commissario Mario Nardone un uomo che, se non fosse realmente vissuto, potrebbe benissimo sembrare un personaggio inventato.

La serie, composta da sei puntate doppie, oltre a Sergio Assisi nella parte del commissario, vede tra i protagonisti anche Anna Safroncik nella parte di Flò, una giovane e e attraente prostituta; Stefano Dionisi veste i panni di Sergio Suderghi, un poliziotto temerario e cinico;  Giorgia Surina è Eliana, la ragazza dolce e determinata, figlia del Nord, che riesce a conquistare il cuore del meridionalissimo commissario Nardone. La regia è firmata da Fabrizio Costa, mentre la sceneggiatura è di Andrea Purgatori, Marcello Olivieri, Silvia Napolitano e Stefano Voltaggio.

Ironico, disincantato, puntiglioso fino allo sfinimento, ma dotato di grande etica e di un’umanità profonda, sempre supportato dalla sua famiglia che adora, anche se non lo vedono quasi mai, della buona cucina e pronto a tutto pur di non rinunciare a una battuta; Nardone è stato una leggenda nella Milano degli anni ’50 e ’60.

Nardone ha contribuito alla nascita della squadra mobile meneghina dichiarando guerra alla malavita lombarda e l’Italia, seguendo le sue gesta, si appassiona di quella che per tutti divenne la “Cronaca Nera”, grazie al contributo di un giovane foto reporter, Trapani, il lavoro della squadra di Nardone sale agli onori della cronaca come esempio di grande efficienza e capacità, ma le storie di amori tragici, di rapine, di delitti che, pur sempre efferati, avevano qualcosa di tragicamente umano rispetto a quelli spietati di oggi da cui sembrano ormai lontanissimi.

La figura del Commissario Nardone viene meglio delineata da quella che era la Milano di quegli anni. Una città che pur non essendo la sua, finirà per appartenergli. Una città in cui Nardone, napoletano doc, non riesce a trovare un caffè degno di questo nome neanche a pagarlo a peso d’oro. Una città di nebbia, gelo e pioggia; una città senza mare, dove “anche la gente che viene dal sud dimentica presto di saper sorridere” e si inserisce inesorabilmente nella frenetica macchina produttiva. Una città che comunque, in qualsiasi caso e nonostante tutto, Nardone ama senza riuscire a darsene una ragione.

Il Commissario Nardone, uomo di legge nato in provincia di Avellino, dalle idee decisamente all’avanguardia per l’epoca e a dir poco ardite, viene trasferito ancora trentenne dalla Questura di Parma a quella di Milano subito dopo la fine della seconda guerra mondiale, perché si era macchiato di una colpa gravissima: avere denunciato alcuni colleghi coinvolti in traffici poco puliti!

Nardone è un napoletano purosangue ed è un caso raro di un commissario che durante il Ventennio non aveva aderito al partito fascista, che si ritrova all’improvviso nella capitale industriale di un’Italia uscita prostrata dalla guerra e profondamente lacerata dalle contraddizioni politiche ed economiche ancora irrisolte.

Milano è in piena ricostruzione e gli sfollati, un po’ alla volta rientrano in una città dove sorgono nuove abitazioni per dare un tetto a coloro che, solo alcuni anni prima, avevano perso tutto.

Milano si prepara agli anni cinquanta con il proletariato affamato, costretto dalla situazione economica in cui versa a dover commettere piccoli furti per potere sopravvivere; a dover campare con attività “d’ingegno”, spesso ai limiti della legalità.

Una realtà in cui dominano anche grandi passioni che riempiono le pagine dei giornali, con i giornalisti sempre in cerca di eroi, vittime e icone di un Paese che sta cambiando.

Ed è proprio in questo contesto, in questa città povera ma affamata di speranze e ricchezze che si impone, per certi versi anche come fenomeno culturale, la mala, che equipaggiata di armi reperite con estrema facilità (in alcuni ambienti subito dopo la guerra un mitra si trova più facilmente di una bistecca), riempie ogni giorno le cronache dei giornali con racconti simili a quelli dell’America degli anni ’30.

La mala di Milano diventa talmente forte e diffusa da crearsi una “sua storia” che coincide inevitabilmente con quella della città. Una storia fatta di furti temerari, di colpi che diventano di giorno in giorno sempre più scientifici e audaci, di fughe improbabili e spericolate, di refurtive nascoste nei depositi di formaggio di Corso San Gottardo, di notti folli in cui per amore di una ballerina o per un numero da giocare al vicino Casinò in Svizzera si rischia di perdere l’intero bottino.

Una storia che diventa mito e leggenda, raccontata nei bar, nelle osterie, nei night, in fabbrica, per strada, dalle “case di ringhiera” diventando sempre più cultura popolare, una epopea di personaggi e piccole bande che si contendono e governano quel piccolo mondo, creando e legittimando i “loro” quartieri.

Nardone, napoletano in questo universo, sa e conosce tutto e tutti, al punto da diventare egli stesso mito, al punto da essere rispettato da quegli stessi criminali suoi avversari con i quali ogni giorno lotta per una sopravvivenza che, comunque, ha regole e codici precisi, alcune volte perfino “cavallereschi”.

La Milano di quell’epoca è letteralmente nel taschino di Nardone, che diventa il Commissario in grado di risolvere qualsiasi indagine, anche grazie all’aiuto della squadra che mette in piedi.

Nardone sa perfettamente che la fiducia è molto importante nel lavoro e così sceglie personalmente tutti i suoi collaboratori tra il personale di servizio dove trova i poliziotti migliori e li valorizza, creando la prima squadra investigativa italiana: la “Squadra Mobile meneghina”. Strutturata in maniera tale da stare sempre al passo con le innovazioni architettate dai criminali; formata da giovani agenti, ognuno con diversi campi di competenza e in grado di coprire tutte le discipline della Polizia odierna.

Gli uomini del commissariato, per la prima volta, vanno a stretto contatto con la gente, per la strada, in pattuglia, comprendendo l’importanza di conoscere le dinamiche dei malavitosi e preparandosi a infiltrarsi tra le maglie della criminalità organizzata.

Inoltre Nardone, grazie alla sua capacità di leggere nel cuore delle persone, crea una fitta e proficua rete di informatori e confidenti, costruendo rapporti di fiducia perfino con i suoi “nemici”. Un uomo coraggioso, pieno di fantasia ed estremamente innamorato del proprio lavoro, qualità che gli conferiscono dentro e fuori la Questura un’autorevolezza indiscussa.

Con il suo grande carisma riesce a motivare e rendere combattivi i suoi uomini, anche i più sottovalutati e sviliti come Rizzo, Suderghi, Muraro e Spitz, creando in poco tempo una squadra leggendaria, sempre a caccia di delinquenti, senza mai guardare l’orologio, sempre in servizio.

Tra i tanti balordi a cui Nardone da la caccia, si fa strada Bosso, un killer spietato e abile organizzatore di colpi al limite dell’incredibile. Un uomo che diventerà l’alter ego del commissario, costretto a giocare contro di lui la sua partita, a confrontarsi, consapevole che perdere contro Bosso significa condannare Milano a un futuro nero, di violenza.

Ma a Milano Nardone, inaspettatamente trova anche l’amore vero. L’amore di una ragazza indipendente e determinata, Eliana, conosciuta nel corso di una delicata indagine e che farà battere forte il cuore del commissario. Una storia d’amore che si instaura fin da subito tra i due protagonisti, profonda e duratura, suggellata prima dal matrimonio e poi dalla nascita di due figli, che mostrerà il lato più umano del carattere del nostro commissario, alle prese con le gioie e i dolori della vita matrimoniale.

Trama

Prima puntata - Primo episodio: Penicillina mortale

Collecchio, provincia di Parma, 1946. Un reduce, ex impiegato comunale, ha preso in ostaggio il sindaco. Gli punta al collo una pistola. Minaccia di ucciderlo se non riavrà il posto di lavoro perduto durante gli anni di guerra e prigionia. Il commissario che gestisce l’emergenza ha chiamato un tiratore scelto. Il vicecommissario Nardone vuole provare a risolvere il caso pacificamente. Il superiore, scettico, gli concede pochi minuti. Nardone si avvicina disarmato e con le sue parole conquista la fiducia del reduce. Ne ascolta la storia. La frustrazione. La rabbia. Lo comprende. Con umanità cerca di convincerlo a desistere. Lo rassicura. Il reduce posa l’arma, si arrende. Nardone segnala che è tutto a posto ma in quell’istante il tiratore scelto spara. Il reduce cade ferito. Nardone è attonito. Poi esplode la sua rabbia, si scaglia sul superiore che ha dato l’ordine, colpendolo al volto.

Qualche tempo dopo Nardone arriva a Milano. A causa del suo gesto è stato punito e trasferito.

La Milano del dopoguerra è pervasa di povertà. Molti sono malati e non possono permettersi le cure adeguate. Il mercato nero funziona ancora a pieno regime e per trovare alcune medicine essenziali, come la penicillina, bisogna pagare prezzi molto alti.

Al suo primo giorno di lavoro in Questura, Nardone deve fare un sopralluogo in casa di Flò, la prostituta più ambita di Milano, perché un suo cliente è morto d’infarto. Si tratta di un avvocato parecchio in vista. Flò è bella e spavalda e tiene testa a Nardone che la interroga, senza preoccuparsi del fatto che potrebbe essere arrestata perché alle prostitute non è concesso di esercitare al di fuori delle case chiuse. Il commissario ne è affascinato. In una tasca del morto, Nardone scopre una fialetta di vetro che si è rotta nella caduta e la invia subito alla Scientifica.

Spitz analizza il contenuto della fiala e scopre che è penicillina pura. E dall’autopsia risulta che l’avvocato non aveva alcun disturbo, quindi non era per uso personale. Nardone è colpito dal lavoro rapido e meticoloso di Spitz. Il Questore Ossola sollecita una rapida archiviazione del caso: l’avvocato aveva famiglia, faceva parte della Milano bene e si rischia uno scandalo. Nardone lo rassicura ma continua a indagare, anche perché Muraro scopre che qualche mese prima il titolare di un deposito di medicinali aveva denunciato il furto di una grossa partita di penicillina.

Al deposito Nardone conosce Eliana, che si occupa dell’amministrazione. È lei a fargli notare che la fiala trovata in tasca al morto faceva parte di quella partita rubata. Controllando il magazzino, Nardone trova un’anomalia nel rapporto fatto dai poliziotti in seguito alla denuncia. Chiede dettagli ai due colleghi, che però minimizzano: di furti ce ne sono a centinaia e capita di sbagliarsi nel redigere un rapporto. Nardone non ci vede chiaro, invece a Muraro non va giù che il commissario abbia messo in dubbio la parola dei suoi colleghi: ormai si è convinto che voglia fare carriera alle loro spalle.

Nardone viene convocato dal Questore Ossola, seccatissimo: il funzionario da cui dipendono i poliziotti si è lamentato. Nardone solleva Muraro da ogni responsabilità e dice che ha fatto tutto da solo, ma non era niente più che una chiacchierata per avere qualche informazione. Si fa dare da Eliana la lista degli impiegati del deposito. Emerge un cognome che è lo stesso di uno dei poliziotti. Impiegato e poliziotto sono cugini. Forse non vuole dire niente, o forse molto. Con Muraro che rema contro, per indagare a fondo, al commissario serve un altro collaboratore. La scelta cade su Rizzo, di cui apprezza la memoria eccezionale e la conoscenza dettagliata della città.

Cominciano i pedinamenti e si ritrovano nel bar di Cangemi, dove i due poliziotti si incontrano con l’impiegato del deposito. Nardone minaccia Cangemi di chiudere il locale se non collaborerà. Cangemi racconta di aver sentito i tre che parlavano di un magazzino... Dopo un appostamento, Nardone, Muraro e Rizzo fanno un’irruzione trovando non solo penicillina ma molta altra merce destinata al mercato nero. I poliziotti tentano la fuga, ma vengono acciuffati. L’arresto viene immortalato dall’obiettivo di Trapani, fotografo della Notte in cerca di scoop, arrivato tempestivamente sul posto grazie ai suoi contatti. Nardone non gradisce ma sa che ognuno deve fare il proprio mestiere.

In Questura, i poliziotti confessano di essere i responsabili dei furti di penicillina e di lavorare per l’avvocato morto, con cui facevano affari per conto di Barone, un famoso gioielliere che secondo Flò ha le mani su tutti i traffici di usura, riciclaggio e mercato nero. Ma trovare prove contro di lui è impossibile, è abilissimo a rimanere nell’ombra. Nardone non è più visto di buon occhio in Questura, a causa degli arresti dei colleghi e, quando chiede l’autorizzazione per agire contro Barone, Ossola chiude il caso d’ufficio. Si è già sollevata fin troppa polvere e la stampa ci ha già ricamato fin troppo sopra sbattendo in prima pagina la morte dell'avvocato e illazioni che gettano ombre e discrediti sulla Polizia. Da ora in poi, Nardone dovrà occuparsi solo di furti.

Conosciuta per via dell’indagine, Eliana ha però colpito il commissario al punto da inviarle dei fiori per ringraziarla dell’aiuto e invitarla a cena fuori. Una serata insieme e Nardone è già cotto di lei!

Nardone vuole realizzare l'idea che ha in testa: mettere insieme una squadra di uomini che possano coprire ogni settore e specializzazione. I migliori in ogni campo. Uno che sappia guidare come un pilota; un altro capace di sparare con precisione; uno che conosca a menadito la città; uno che sappia analizzare al meglio i reperti trovati sui luoghi dei delitti... e dovranno avere il coraggio di seguirlo sempre e dovunque, anche e soprattutto senza l’autorizzazione dei superiori. Muraro gli dice che lui i migliori li conosce, ma sono i più emarginati. Nardone sorride soddisfatto: meglio, molto meglio, avranno più voglia di riscatto!

Prima puntata - Secondo episodio: La banda dovunque

Una feroce rapina in banca a Cinisello Balsamo. Una delle tante messe a segno dalla famigerata Banda Dovunque, che cambia continuamente zona per spiazzare la polizia e usa auto rubate di grossa cilindrata. Ma stavolta c’è scappato il ferito, una guardia giurata. Tanto per cambiare, Trapani arriva prima della Polizia e Nardone non capisce come sia possibile anche se inizia a sospettare che le soffiate gli arrivino dall’interno della Questura.

La pressione dell’opinione pubblica è forte, la stampa alimenta l’idea che la Banda Dovunque sia imprendibile e si faccia beffe della legge. Nardone vorrebbe indagare, ma Ossola è fermo: ha detto che deve occuparsi solo di furti. Nardone lo prende in parola, e comincia a indagare sulle auto di grossa cilindrata utilizzate per i colpi.

Nardone e i suoi (a Muraro e Rizzo ora si aggiunge in pianta stabile anche Spitz, l’ebreo della Scientifica) scoprono che i furti d’auto sono avvenuti una settimana prima di ogni colpo. In questo lasso di tempo, la Banda deve tenere le auto da qualche parte. Quella usata a Cinisello viene trovata abbandonata, senza targhe, col numero di matricola limato. Dentro, Nardone trova una manciata di chicchi di riso. Un buon indizio. Ma non fa in tempo ad approfondire le indagini che la competenza passa ai colleghi che si occupano delle rapine.

Eludendo gli ordini ricevuti, Nardone comincia lo stesso a indagare sulla Banda Dovunque, ma ora ha bisogno di un uomo d’azione. Ha adocchiato Suderghi. Muraro dice che sa guidare e sparare ma non è affidabile: è matto, fascista, beve e non c’è una sera in cui non finisca al bordello. Molto bene, ragiona Nardone: è esattamente il tipo che fa al caso loro. Va a cercarlo al poligono di tiro, dove Suderghi non sbaglia un centro, gli accenna l’idea, ma lui rifiuta.

Se nell’auto rubata c’era del riso, è ovvio che devono cercare un magazzino o una fattoria vicina a una risaia. Ma Spitz smonta questa ipotesi perché sui copertoni non ci sono tracce di terra o fango, quindi l’auto deve venire da un garage in città. Muraro fa una lista dei garagisti con precedenti penali. In pochi giorni, li interrogano tutti e perquisiscono i garage alla ricerca di qualche indizio che non trovano. Però si scopre che uno di loro si è sposato di recente e ha usato l’auto rubata per il matrimonio: i chicchi lanciati dagli invitati a fine della cerimonia sono rimasti nell’abitacolo. L’uomo confessa che non sa niente della rapina: lui si è limitato a nascondere le auto rubate.

Scatta un blitz che permette a Nardone e alla squadra di sgominare l’intera Banda Dovunque, arrestando nello stesso momento tutti i componenti, in luoghi diversi. Tutti, tranne quello che si occupava di rubare le auto e di tenere il contatto col garagista che le nascondeva. E’ un giovane, si chiama Luigi Bosso.

La cosa strana è che a difenderlo all’ultimo processo era stato l’avvocato morto di infarto nella puntata precedente, che guarda caso era anche il legale di Barone. Un avvocato del genere per un ladro di auto?

Nardone è convinto che acciuffando Bosso può arrivare a Barone. Grazie alle informazioni di Flò, si scopre che Bosso ama la bella vita. Qualche appostamento nei night milanesi e il bersaglio viene individuato. Nel frattempo, Suderghi fa marcia indietro e decide di entrare in squadra. Tendono un agguato a Bosso all’uscita di un locale ma lui se ne accorge in tempo e riesce a scappare in auto. Comincia un inseguimento, ma l’auto di Bosso è più potente di quella a disposizione della squadra. Non fosse per l'abilità da pilota di Suderghi, il bandito riuscirebbe a farla franca. Invece Nardone, con Suderghi alla guida, riesce a mandarlo fuori strada e catturarlo.

In ospedale, Nardone convince Bosso a testimoniare contro Barone in cambio di un bello sconto di pena. Bosso accetta. Nardone è convinto di avere Barone in pugno, ma il ladro scappa dall’ospedale beffando i due agenti di guardia. Rabbioso, Nardone affronta Barone nella gioielleria e gli giura che lo incastrerà. Barone alza il telefono, chiama il Questore e gli racconta che ha appena conosciuto il commissario e gli ha fatto un’ottima impressione. Poi, sornione e beffardo, dice a Nardone che conosce gente importante, quindi stia bene attento a mettersi contro di lui...

Seconda puntata - Terzo episodio: Tradimenti

Il cadavere di una donna è stato ritrovato nella sua auto, in un luogo dove solitamente si appartano le coppiette. Sembra la vittima di una rapina finita male. Dai documenti risulta essere Sofia Piacentini, avvenente moglie di uno stimato avvocato.

Seppure a malincuore, Ossola affida il caso a Nardone, che avendo risolto il caso della Banda Dovunque ha di nuovo accesso alle indagini più importanti.

Il marito della vittima è il primo ad essere interrogato. Al momento dell’uccisione si trovava a Bergamo per lavoro e si rimprovera aspramente di aver lasciato sola la moglie, sebbene Sofia fosse di carattere indipendente.

Parallelamente all’indagine sulla morte di Sofia Piacentini, Nardone continua a tenere sotto controllo Barone, nella speranza di trovare un modo per incastrarlo.

Forse per incriminare il gioielliere può servirsi delle testimonianze delle vittime del suo giro d’usura. Un commerciante, infatti, si è suicidato a causa dei debiti e la vedova potrebbe aiutare Nardone nell’indagine.

Rizzo e Muraro hanno raccolto informazioni sull’omicidio e hanno scoperto che nelle ultime settimane ci sono state altre rapine, con modalità simili, sempre ai danni di coppiette. Nardone predispone degli appostamenti notturni.

Insieme a Suderghi, Muraro e Rizzo si apparterà in diversi punti. Per non destare sospetti hanno coinvolto delle prostitute. Nardone ha convinto anche Flò, che farà la parte dell’innamorata insieme al rude Suderghi.

Dopo un paio di appostamenti, il piano ha successo. Una coppia di balordi tenta di rapinare Flò e Suderghi. I rapinatori finiscono ammanettati, confessano le rapine precedenti ma per quella ai danni di Sofia Piacentini si dichiarano innocenti. Sono uomini d’onore: ladri, ma non assassini. Hanno anche modo di dimostrarlo e Nardone decide di credergli.

Mentre i suoi interrogano amici e parenti della vittima, Nardone incontra la vedova del commerciante che potrebbe denunciare Barone. La donna ha paura. Non vuole parlare. Nardone la convince. Le strappa i nomi di altri negozianti indebitati con Barone. Avevano promesso di spalleggiare suo marito. Ma hanno tutti cambiato idea dopo il suo suicidio. Nardone scopre che Barone non pretende solo gli interessi passivi. Impone ai suoi debitori di comprare a prezzi altissimi le merci da lui ricettate. Il traffico viene gestito telefonicamente. Senza contatti diretti.

Muraro vorrebbe fare irruzione dai negozianti ricattati e sequestrare la merce rubata. Ma il commissario è contrario. Non gli interessa arrestarli. Devono arrivare all’intermediario. Sarà lui che li porterà fino a Barone. E per riuscirci hanno un solo strumento. Scegliere un commerciante tra quelli indicati dalla vedova, mettergli il telefono sotto controllo e aspettare.

Visto che ad uccidere Sofia Piacentini non sono stati i rapinatori, vuol dire che la squadra deve cercare altrove il suo assassino.

Controllando l’alibi del marito della vittima, Nardone scopre che a testimoniare per l’avvocato è un suo ex-assistito, che quindi avrebbe tutte le ragioni per coprire Piacentini.

Ma non è così: l’avvocato Piacentini è davvero innocente, lo dimostra il suo amore per la moglie e la sincerità del suo sguardo.

Nardone capisce però che l’assassino di Sofia, per copiare tanto bene il modus operandi dei rapinatori delle coppiette, deve aver avuto modo di vederli in azione. Quindi in precedenza, il colpevole deve essere stato a sua volta rapinato!

Spulciando le denunce dei furti, Nardone e i suoi uomini risalgono ad uno dei praticanti che esercitano nello studio legale di Piacentini, un tale Paolo Raimondi.

Interrogato da Nardone, Paolo crolla. Confessa di avere avuto una relazione con la moglie del suo capo e di essersi spaventato quando Sofia, evidentemente pazza d’amore, aveva annunciato di voler lasciare il marito per stare con lui. Per Paolo sarebbe stata la fine della carriera, il suo principale si sarebbe vendicato sicuramente impedendogli di esercitare in tutta Milano.

Il caso di omicidio è risolto. E Nardone riceve un’altra buona notizia: le intercettazioni hanno funzionato. Dalle telefonate appare chiaro che a minacciare i negozianti è il latitante Bosso.

Nella telefonata controllata, infatti, Bosso annuncia che lo scambio tra soldi e merce si effettuerà da una certa Angelique. I nostri hanno appena il tempo di ascoltare queste informazioni, quando improvvisamente cade la linea: la causa dell’interruzione è dovuta alla morte del tecnico STIPEL, che si trovava in cima ad un palo del telefono per rintracciare il luogo di chiamata.

Seconda puntata – Quarto episodio: Il falsario

Il tecnico della compagnia telefonica che eseguiva le intercettazioni di Bosso per conto di Nardone si chiamava Giorgio Pandolfini. Anche se la sua morte sembra un incidente, secondo il commissario è evidente che Bosso si era accorto di essere controllato e ha fatto uccidere l’unico in grado di scoprire il suo nascondiglio.

La morte di questo innocente è una ragione in più per Nardone per voler assicurare il malvivente alla giustizia.

Per fortuna, prima di morire il tecnico era riuscito a circoscrivere la zona da cui proveniva la chiamata: Trezzano sul Naviglio.

E da lì iniziano le indagini di Nardone: quante Angelique possono esserci, in un paesino alle porte di Milano?

Mentre i suoi uomini battono la zona di Trezzano, Nardone è alle prese con un nuovo crimine, a Milano.

L’assassinio di uno stimato incisore, tale Carlo Torcia, è la scena del crimine ideale per le doti investigative dello scientifico Spitz.

Interrogate la vicina di casa e la cameriera, Nardone si trova con poche informazioni utili a risolvere il caso: un uomo anziano e solitario, dalla vita ritirata e che soffriva di artrite, a giudicare dalle medicine trovate in bagno.

Nessun segno di scasso, Torcia deve aver aperto la porta al suo assassino. Unico particolare fuori contesto: un mazzo di chiavi che sembra non appartenere alla vittima. Nel palazzo nessuno sembra aver visto né sentito nulla. Neanche il dirimpettaio, il professor Alberto Volterra, ha sentito lo sparo.

Nardone è convinto che Volterra nasconda qualcosa e non sia stato sincero con la Polizia ma Spitz difende il professore a spada tratta. Volterra è un sopravvissuto dei campi di concentramento e per questo gode della stima imperitura dell’altrimenti taciturno e timido ebreo Spitz.

Visto che non sembra spuntare nulla di interessante, Nardone decide di scavare nel passato di Torcia e inizia interrogando la sua ex-cameriera, licenziatasi appena tre mesi prima della morte del principale. Mirella Rubattino, questo il suo nome, dichiara di essersi dimessa dal lavoro per tornare al paesino d’origine con il figlio Lucio. All’ultimo momento il ragazzo aveva cambiato idea e deciso di restare a Milano, ma ormai Torcia aveva assunto una nuova cameriera e Mirella non aveva potuto riottenere il suo posto di lavoro.

A Trezzano i telefoni sono pochi, e nessuno di questi sembra ricondurre al nascondiglio di Bosso. Muraro e Rizzo tengono gli occhi aperti per la misteriosa Angelique.

Il delitto di Torcia sembra essere senza soluzione, ma un’intuizione di Nardone da una svolta all’indagine: confrontando l’appartamento della vittima con quello dei vicini, il commissario si accorge di un finto muro. E della camera segreta che nasconde.

Nella camera segreta, Torcia impiegava la sua abilità di incisore per falsificare passaporti e banconote. Questa attività illegale offre a Nardone un ottimo movente, finalmente ha una pista su cui indagare.

I sospetti cadono sul professor Volterra. L’alibi che ha fornito non è stato confermato e, come sopravvissuto ai campi di concentramento, aveva una questione aperta con il vicino di casa che con i suoi documenti contraffatti aveva permesso la fuga di molti fascisti, una volta finita la guerra.

Spitz non può credere che Volterra sia colpevole ed è lieto di avere Nardone al suo fianco. Ma Ossola è invece convinto della colpevolezza del professore e i nostri dovranno usare tutta la loro arguzia per scagionare Volterra.

Seguendo l’unico indizio che non incrimina il professore, ossia il mazzo di chiavi trovate a casa di Torcia, Nardone scopre che il colpevole è in realtà il figlio della cameriera Mirella.

Per coprire le pesanti perdite subite da Lucio nel gioco d’azzardo, Mirella aveva preso a ricattare Torcia minacciandolo di denunciare la sua attività di falsario. La sera dell’omicidio Lucio aveva accompagnato la madre a riscuotere e si era trovato davanti un Torcia non più disposto a pagare. Alla lite era seguita una colluttazione e infine l’omicidio. Spaventati da ciò che era successo, Mirella e Lucio erano poi fuggiti, dimenticando lì le chiavi di casa loro.

Intanto per un colpo di fortuna, Rizzo e Muraro vengono a capo dell’enigma di Angelique: non è una donna, si tratta del nome di una barca…

Terza puntata - Quinto episodio: La strage degli innocenti

Rizzo e Muraro cementano la loro amicizia mentre tengono d'occhio il barcone Angelique. Il barcone e il vicino capanno sono sotto controllo costante.
All’alba, a Milano, un urlo squarcia il silenzio di una via. Una donna esce gridando da un portone e sviene sul marciapiede. Mezz’ora dopo la Polizia sale le scale dello stabile. Arriva Nardone accompagnato da Spitz. I colleghi avvertono: “È una strage, una mamma e i suoi tre bambini…”.
Il primo indiziato è il marito e padre delle vittime, tale Pippo Ricciardi, di cui però non si hanno notizie da un paio di giorni.
Nardone nota sul luogo del delitto dei particolari che lo portano ad interrogare la commessa che ha scoperto la strage. Scopre che al suo posto qualche settimana prima c’era una tale Rina Fort.
Nardone e Suderghi raggiungono la Fort alla pasticceria dove lavora.
L’interrogatorio della Fort si rivela essere un esercizio di equilibrismo per Nardone; la donna è forte e controllata, non sembra semplice farla cedere. Rina Fort confessa di aver avuto una lunga relazione con il suo datore di lavoro, Ricciardi, e che la storia tra loro due si sia interrotta di comune accordo.
Nonostante la donna suggerisca che Ricciardi possa essere il colpevole, Nardone ha un orribile sospetto, e conduce la donna nella casa dove si è consumata la strage.
Rina sembra tranquilla, non da segni di cedimento.
Suderghi, abusato di cocaina, va da Flò. Le confessa di sentirsi preso da lei, di volere una relazione. Ma la donna ha altre mire nella vita e lo manda via.
Nardone espone a Eliana, che nel frattempo ha preso a frequentare assiduamente, i suoi sospetti sulla colpevolezza di Rina Fort, ma è anche costretto ad ammettere che senza prove non potrà accusarla. Deve farla confessare.
Finalmente rintracciato Ricciardi, Nardone lo sottopone a interrogatorio. Ricciardi sembra sinceramente smarrito, la moglie era una brava donna e non riesce a darsi ragione di una tale strage. A Nardone, Ricciardi confessa l’avventura extraconiugale con la Fort ma minimizza, la riduce ad una storiella sul luogo di lavoro...
Per Nardone è arrivato il momento di far incontrare Ricciardi e Fort, vuole vedere come si comportano quando sono insieme...
Le lunghe notti di attesa di Muraro e Rizzo vengono ricompensate: intorno all’Angelique c’è del movimento, Bosso finalmente appare.

Terza puntata - Sesto episodio: La quadra del cerchio

Non visti, Muraro e Rizzo seguono Bosso fino all’ingresso di una villa, di proprietà di Barone.
Gli interrogatori in questura proseguono ma Rina Fort non cede. Per aprire uno spiraglio su quella donna misteriosa, Nardone decide di usare una tattica differente dall’assalto diretto: usa la pazienza. Si fa raccontare dell’infanzia, si mostra interessato alle opinioni della Fort, cerca di capire le sue ragioni...
Inattesa, arriva la confessione di Rina Fort. La donna sembra essersi arresa all’evidenza e confessa di aver assistito all’omicidio, ma dà la colpa a Ricciardi – il mandante – e a un certo Carmelo – l’esecutore -.
Ricciardi viene immediatamente arrestato e portato in questura. Ma Nardone ancora non è convinto e decide di credere a Ricciardi, che si professa innocente nonostante le accuse.
Quando Trapani si presenta da Nardone con una vecchia foto (scovata chissà dove) di Rina Fort da giovane, in compagnia di un uomo, il Commissario decide di ricorrere all’aiuto di Flò. Scopre in questo modo che la Fort ha alle spalle una tragica storia. Da bambina ha subito ogni tipo di violenze dagli uomini e durante la guerra ha finito per prostituirsi in un bordello. Quando Ricciardi arriva nella sua vita, Rina si illude che sia il vero amore. Ricciardi va addirittura a vivere con lei. In realtà la sfrutta per mantenere il negozio. Non le dice che ha una moglie. Le promette di sposarla. Ma un giorno arriva dalla Sicilia la moglie con i tre figli, incinta del quarto. Due settimane dopo Rita è senza uomo né lavoro. Ferita, umiliata, beffata nell’intimo: perché Rina è sterile.
Nardone torna in questura e chiede di essere lasciato solo con la Fort. La affronta alla sua maniera, le racconta quello che sa della sua vita. Rina crolla, piange, infine racconta che è stata lei ad ucciderli tutti. Né complici né complotti, solo tanta disperazione.
Risolto il caso di Rina Fort, Nardone concentra le sue attenzioni su Bosso e Barone. Il commissario fa irruzione con la squadra nella villa di Barone ma trova il gioielliere morto, accanto alla cassaforte vuota. E’ stato assassinato da Bosso, riuscito ancora una volta a scappare.
Segnato da tutti questi accadimenti, Nardone si reca da Eliana e le chiede di sposarlo.
In questura tutti i colleghi brindano alla soluzione del caso Fort. I giornali parlano di Nardone e dei suoi uomini come di un gruppo imbattibile. Ma il commissario sa che non è così. Bosso gli è sfuggito. Ed è una sconfitta che Nardone non riesce a mandare giù. Il questore li raduna nel suo ufficio e annuncia che ha avuto istruzioni da Roma per comunicare che sono stati tutti promossi ad incarichi più importanti e quasi gli scappa un sorrisetto compiaciuto. Finalmente la squadra che gli faceva ombra sarà smantellata. Un treno sfreccia sui binari, a bordo c’è Bosso. E’ vestito come un damerino, e sorride mentre vede allontanarsi il confine con l’Italia...

Quarta puntata – Settimo episodio: Il ritorno

Milano, 1958. La città è profondamente cambiata. Il boom economico permette a tutti di sognare un futuro migliore. La malavita è diventata Organizzata, e la Polizia si adegua. In Questura ci sono più mezzi, più uomini e un nuovo Questore, Argento. Anche se la sua squadra non c’è più, Nardone è fiero di ciò che è riuscito a costruire: ora esiste un unico numero telefonico per segnalare l’intervento delle forze dell’Ordine, il 777.
I colpevoli di una rapina alle Poste scappano su un’auto e riescono a far perdere le loro tracce.
L’auto viene ritrovata giorni dopo, in fondo ad un fosso. I corpi dei rapinatori crivellati dai colpi. Nessuna traccia della refurtiva.
Per identificare i cadaveri dei rapinatori, Nardone si rivolge alla sempre bene informata Flò, che ha aperto un night club frequentato da ricchi e potenti.
Flò riconosce le foto dei cadaveri: erano due francesi. I nomi non li conosce. Nardone chiede quindi aiuto a Suderghi, il vecchio compagno di squadra che ora è distaccato al confine con la Francia.
Suderghi controlla alla dogana e risale ai nomi dei rapinatori. Li comunica a Nardone, che da quelli rintraccia l’albergo dove alloggiavano a Milano. Muraro viene inviato ad ispezionare le stanze.
A sorpresa, Muraro si trova davanti il vecchio nemico, Bosso, che gli spara e fugge.
Muraro è in coma. Dietro al vetro del reparto di rianimazione, Nardone fissa il letto su cui il suo amico sta lottando tra la vita e la morte. Alle sue spalle, compaiono uno alla volta Suderghi, Spitz, Rizzo... E’ la vecchia squadra che si riunisce in silenzio. Nei loro occhi rabbia e determinazione. Prenderanno chi gli ha sparato, chiunque sia, ovunque sia. Ad ogni costo.
A cena da Eliana e Nardone, ormai sposati e con un figlio, gli uomini raccontano cosa hanno fatto in questi dieci anni di lontananza. Rizzo ha continuato a studiare, ma è rimasto solo. Spitz è diventato uno dei massimi esponenti della Scientifica, Suderghi a Ventimiglia ha una fidanzata ma non ha ancora dimenticato la conturbante Flò...
Salta fuori un collegamento tra i rapinatori e un certo Curreri. Nardone si persuade che il colpo alla posta sia stato solo l’inizio, per procurarsi i finanziamenti per qualcosa di più grosso e che, seguendo Curreri, giungeranno a catturare Bosso.
Al capezzale di Muraro giunge una giovane ragazza, Anna. È la figlia che Muraro non sapeva di avere avuto, da un amore giovanile. Forse la vicinanza della figlia potrà aiutare il burbero Muraro a guarire più in fretta.
Rizzo ritrova inaspettatamente la ragazza di cui era innamorato anni prima, Linda.
Nardone non riesce a catturare Bosso, ma scopre una partita di cocaina sufficiente a controllare tutta la città.
Evidentemente gli interessi di Bosso ora sono nello spaccio di droga...

Quarta puntata – Ottavo episodio: Passione torbida

Per avere informazioni sul sottobosco della malavita, Nardone si rivolge a Cangemi. L’uomo appare reticente, ma Nardone non può immaginare che Bosso ricatti Cangemi utilizzando il suo locale come nascondiglio.
Il corpo di una ragazza è stato appena ripescato nei Navigli. Nardone va sul posto. Secondo il medico legale la ragazza è morta a causa di un colpo alla testa ricevuto prima di essere gettata nel canale. La vittima si chiama Ludovica Serra. È una studentessa, faceva la modella per i pittori di Brera. Aveva una relazione con Vittorio Castagna, figlio ricco e viziato di un industriale molto noto.
Vittorio viene interrogato, ammette di essere stato alla festa con Ludovica e che avevano litigato. Non era una novità, visto che lei era innamorata e lui no. L'ha lasciata fuori dal locale, ubriaca e furiosa. Poi è andato a casa da solo, perciò non ha alibi.
La notizia del fermo di Vittorio Castagna suscita enorme clamore sulla stampa. Il padre del ragazzo, insieme alla sua seconda moglie, Alessandra, manifesta a Nardone tutto il suo fastidio per questa pubblicità non richiesta. Nardone inizia ad intuire la verità...
Muraro lotta ancora tra la vita e la morte sul letto d’ospedale, così Nardone incarica i suoi uomini di continuare a setacciare il sottobosco della mala milanese alla ricerca di informazioni su Bosso. Ma invano. Bosso sembra un fantasma.
Rizzo scopre che Linda è incinta. Ma non di lui.
Nardone accusa Alessandra Castagna di avere una relazione con il figliastro e di essere complice nella morte di Ludovica. Alessandra conferma la relazione ma nega l’omicidio. La sera del delitto ha incontrato Vittorio alla mostra e poi sono tornati insieme a casa, passando per Corso Buenos Aires, per stare un po’ insieme approfittando dell’assenza del marito.
Peccato che Nardone sia a conoscenza del fatto che proprio quella notte Corso Buenos Aires era rimasto bloccato a causa di una cisterna del latte ribaltata e tutto il traffico automobilistico era stato deviato!
Messo alle strette, Vittorio confessa. Ludovica li aveva visti insieme e non si rassegnava ad essere stata lasciata per una donna più grande di lei. Una colluttazione, e la ragazza era caduta a terra, morta.
In ospedale, Anna non ha mai abbandonato il capezzale di Muraro ed è con suo grande sollievo che infine il padre si risveglia dal coma e può finalmente fare la sua conoscenza.

Quinta puntata – Nono episodio: La caccia

Bosso e i suoi rapinano un gioielliere della sua valigetta, piena di preziosi. Il gioielliere viene ferito e i malviventi riescono a scappare con la refurtiva.
Capendo immediatamente che dietro il colpo si cela Bosso, Nardone indaga sulla rapina e immagina l’esistenza di un basista, che abbia informato i delinquenti sul contenuto della preziosa valigetta.
Il gioielliere ferito è un uomo di specchiata rispettabilità, mentre sua figlia Emma, capricciosa cantante lirica alla Scala, attira immediatamente l’attenzione del Commissario.
Nardone si reca quindi alla Scala per approfondire la questione e, sorprendentemente, viene a sapere che Emma è stata cacciata quasi due mesi prima.
Su ordine di Nardone, Spitz segue Emma e la vede salire su una macchina sospetta perdendo poi le sue tracce.
Suderghi continua le sue schermaglie amorose con la bella Flò.
Emma si è recata al nascondiglio di Bosso. In effetti è lei la basista che, infatuata del pericoloso malvivente, lo ha informato del contenuto della valigetta.
Ritroviamo Emma al locale di Flò. Da quando è stata allontanata dal Coro della Scala, la ragazza si esibisce cantando nei night. Convinto ormai che sia stata lei a fornire ai ladri le informazioni sulla valigetta, Nardone la trova e la affronta. Emma lo tratta con sufficienza, dai suoi discorsi appare la rappresentante di una nuova generazione che vuole sovvertire le regole dei padri. Come esempio del nuovo che avanza, Emma cita la povertà delle campagne milanesi, dove le chiese non possono permettersi organi e campane e sono costrette a far suonare dei nastri negli altoparlanti. Nardone si rende conto che da lei non avrà informazioni e la lascia andare. Il commissario ricorda però le parole di Emma circa le campane suonate attraverso un altoparlante e capisce immediatamente di dover andare lì per trovare i responsabili della rapina al gioielliere.
Gli uomini di Nardone circondano la cascina nella quale si nasconde Bosso. Il criminale usa Emma come scudo per procurarsi una via di fuga e riesce a farla franca. Emma è salva per miracolo.
Il giorno dopo, Nardone interroga la figlia del gioielliere. Ascolta la sua confessione. Si è fatta sedurre da Bosso. Ha tradito il padre per lui. Si è rovinata per un amore balordo, da niente. Nardone prova quasi pena per lei.
Mentre Muraro si riprende in fretta e cerca di recuperare tutto il tempo perduto in compagnia della figlia Anna, Suderghi è stato raggiunto a Milano dalla sua promessa sposa francese e si trova impegnato suo malgrado nei preparativi del suo matrimonio.

Quinta puntata – Decimo episodio: Campione nel fango

Nardone è sul luogo di un delitto. La vittima è Toni Mazzillo, un pugile di belle speranze, ucciso a coltellate in casa sua. Da un orologio da tasca trovato sul luogo del delitto, la morte sembra risalire all’una di notte. L’assassino deve essersi poi lavato nel bagno della vittima e, uscendo, ha dimenticato l’acqua del rubinetto aperta. I vicini, vedendo l’acqua uscire dall’appartamento, hanno chiamato il 777.
Il manager di Toni, subito interrogato, fornisce ai poliziotti il quadro della situazione: Mazzillo aveva appena vinto il titolo europeo, si preparava per il mondiale. Era un bravo ragazzo, con la testa sulle spalle, schivo.
Vista l’assenza di indizi, si inizia ad indagare sulla vittima. Toni aveva due fratelli, Giancarlo e Massimo. Giancarlo Mazzillo dice di non vedere il fratello da tempo, di aver interrotto i contatti con lui perché Toni aveva cambiato giro, si era montato la testa e sembrava vergognarsi delle umili origini della sua famiglia. Aveva anche smesso di mandare soldi a casa, dicendo che non ne aveva più. Invece, continua Giancarlo, voleva solo spenderli per sé e per le sue donne.
Massimo è il più giovane dei fratelli Mazzillo ed è stato il primo sostenitore del fratello pugile. Negli ultimi tempi, però, anche con lui i rapporti si erano guastati. Massimo afferma che Toni aveva smesso di mandare soldi a casa perché aveva preso il vizio del gioco. Anzi, probabilmente aveva anche perso molto, sembrava preoccupato di alcuni tizi cui doveva dei soldi…
Invece la madre di Toni, interrogata da Nardone, descrive il figlio di mezzo come il suo preferito, quello cui aveva affidato il prezioso orologio del padre.
Nardone incontra casualmente Lucia, la fidanzata di Massimo; anche lei ripete che Toni era un bravo ragazzo.
Per Nardone i conti non tornano. Mazzillo era grande e grosso, sarebbe stato difficile per chiunque sopraffarlo; eppoi c’è l’orologio di famiglia, che segna l’ora della morte, gettato in un angolo sul luogo del delitto…
Il Commissario ha un’intuizione: Lucia tradiva Massimo con Toni.
Arrestato, Massimo confessa il suo crimine. Toni lo aveva invitato a casa sua, aveva cominciato a parlare di Lucia, del bambino che aspettava da lui… Una volta realizzato quello che Toni gli stava dicendo, una furia cieca si era impossessata di Massimo. Si era avventato sul fratello, uccidendolo.
Intanto Bosso riorganizza il suo ritorno in attività in grande stile. A Milano si susseguono le rapine compiute da lui e dai suoi complici, ma per la Polizia sembra impossibile stanarlo.
Astutamente Nardone presume che questi furti servano a Bosso per preparare un grosso colpo. Si reca da Cangemi per scoprire se nel sottobosco della Mala si parli di una stangata in preparazione…
Insolitamente silenzioso, Cangemi sembra non avere nulla da dire al Commissario.

Sesta puntata – Undicesimo episodio: Il gatto e il topo

Nell’androne di un palazzo viene ritrovato il cadavere di un uomo. È stato rapinato, ma si è trattato di un furto particolare: il ladro gli ha rubato gli abiti.
La vittima era una guardia giurata, Luigi Guarnieri, in servizio presso la vicina filiale della Banca Popolare.
Il direttore della Banca afferma che non è stato rubato nulla. Il ladro si è introdotto negli uffici della filiale senza prelevare niente, ma per Nardone è chiaro cosa stesse cercando: informazioni per preparare un grosso colpo.
Argento è colpito dall’analisi di Nardone, ma senza indizi più precisi non si può procedere. Non è possibile mettere sotto controllo l’intera città!
Di nuovo, il punto di riferimento di Nardone è Cangemi. Nel bar dell’informatore, il Commissario vuole raccogliere le informazioni per sventare il piano di Bosso. È convinto che Cangemi, con il suo lavoro, possa aver sentito qualcosa e spera glielo riferisca.
Ma Cangemi, come sempre ultimamente, appare triste, sembra melanconico. Confessa al Commissario di essere stanco di vivere a Milano, sente nostalgia di casa sua e vuole tornare a vivere in Sicilia.
Nardone è appena uscito, quando un bel ragazzo, Domenico, esce allo scoperto. Durante la visita del Commissario il giovane era rimasto nascosto e solo ora può finalmente uscire e abbracciare Cangemi, il suo amante.
Intanto Suderghi ha rotto il suo fidanzamento e ne dà notizia a Flò, confessandole il suo amore. Ma la donna lo rifiuta. Flò è in procinto di aprire un nuovo locale a Milano e non vuole coinvolgimenti emotivi.
Ad impedire che il dolore per il rifiuto prenda il sopravvento, Suderghi si prende cura di Spitz e della sua pericolosa voglia di vendetta, covata per anni.
Nel frattempo Bosso è di nuovo da Cangemi. Anzi, ha convocato lì tutti i suoi scagnozzi per pianificare il “colpo finale”, quello che gli permetterà di conquistare Milano. Domenico ascolta, non visto, mentre Bosso svela ai suoi complici i particolari del colpo del secolo. Quando il malvivente scopre di essere stato spiato, Cangemi si assume la colpa, proteggendo l’amato Domenico.
Nardone viene chiamato sul luogo del delitto. Stavolta la vittima è Cangemi e sapere di non essere stato in grado di proteggere l’amico è per il Commissario il più terribile degli incubi. Per fortuna il sacrificio di Cangemi non è stato vano: Domenico è rimasto nascosto e Bosso non si è accorto della sua presenza. Il ragazzo è sconvolto ma salvo. Con tutta la delicatezza di cui è capace, Nardone convince il ragazzo a parlare. Domenico conferma i sospetti di Nardone: Bosso e la sua banda hanno in mente qualcosa di grosso per il 27 febbraio. È arrivato il momento di fermare il pericoloso malvivente.

Sesta puntata – Dodicesimo episodio: Il grande colpo

Il 27 febbraio, Bosso entra in azione. Prima di dare via al suo piano, però, Bosso vuole liberarsi delle pattuglie della Polizia che Nardone ha sguinzagliato per la città.
Contando sull’ammirazione che un anziano ladro, Orsomando, nutre nei suoi confronti, Bosso lo coopta all’ultimo minuto per rapinare una banca, facendogli credere di partecipare al colpo del secolo. Quando Orsomando entra nella filiale a pistole spianate, da solo, minacciando clienti e personale, in pochi minuti tutta la Polizia gli è addosso. Approfittando del diversivo involontariamente creato da Orsomando, la banda di Bosso assalta il suo vero obiettivo: il furgone portavalori in via Busacco.
Quando Nardone si accorge di essere caduto nella trappola di Bosso è troppo tardi.
Il furto al furgone portavalori occupa le prime pagine di tutti i giornali. I malviventi sembrano essersi presi facilmente gioco della Polizia. Nonostante gli sforzi di Nardone e della sua squadra, l’unico ad essere stato catturato è stato Orsomando. Il quale però, essendo stato anch’egli ingannato da Bosso, non è in grado di fornire informazioni utili alle indagini.
In qualche modo, però, i ladri dovranno spendere i soldi della refurtiva. E il primo posto in cui Nardone si aspetta che dei malviventi vadano a smaltire il malloppo è il nuovo locale di Flò, il Mocambo.
E infatti al Mocambo c’è una traccia: una banconota di quelle appartenenti al furgone portavalori. Seguendo a ritroso il percorso della banconota, il Commissario e la sua squadra collegano al furto uno degli scagnozzi di Bosso, un certo Tognoni.
Ma Nardone vuole chiudere la partita una volta per tutte e quindi non fa arrestare subito Tognoni ma lo mette in allarme. Lo spaventa al punto che Tognoni finisce per dimenticare le giuste precauzioni e decide di recarsi al nascondiglio di Bosso.
Rivedere Flò è per Suderghi un duro colpo ma, dopo essere stato rifiutato, si è ripromesso di non cedere più al fascino della donna. Forse però ora è Flò che non vuole perderlo. La compostezza e il rigore di Suderghi hanno fatto breccia nel cuore della donna.
Nardone segue Tognoni e scopre così il covo di Bosso. Decide di intervenire con tutta la squadra e, dopo una sparatoria tra i suoi agenti e gli scagnozzi del delinquente, arriva la resa dei conti. Bosso è rimasto solo, prova a salvarsi la pelle buttando l’arma e annunciando la resa. Bosso alza le mani. Poi arriva Nardone e gliele abbassa, ma solo per mettergli le manette.
Dopo l’arresto di Bosso, tutti gli altri componenti della banda vengono catturati e la refurtiva recuperata. Nardone e i suoi sono esaltati dalla stampa.
Per tutti, la cattura di Bosso simboleggia la fine di un’epoca. E, nel frattempo, molte cose sono cambiate. Per tutti.
Spitz ha abbandonato ogni proposito di vendetta e finalmente può iniziare a vivere la sua vita.
Promosso all’esame come Magistrato, Rizzo porta finalmente all’altare la sua innamorata storica, Linda.
Suderghi e Flò si ritrovano uno nelle braccia dell’altra.
Il burbero Muraro ha trovato nella figlia la dolcezza che non sapeva di avere, ma anche l’orgoglio. La giovane Muraro, infatti, è una delle prime donne ad entrare nelle forze dell’Ordine, che hanno appena aperto le iscrizioni anche alle reclute femminili.

 

Interpreti e personaggi: Sergio Assisi (Mario Nardone), Giorgia Surina (Eliana), Anna Safroncik (Flò), Stefano Dionisi (Sergio Suderghi), Ludovico Vitrano (Peppino Rizzo), Luigi Di Fiore (Corrado Murano), Francesco Zecca (Enrico Spitz), Franco Castellano (Questore Ossola), Giampiero Judica (Checco Trapani), Manlio Dovì (Salvatore Cangemi), Giuseppe Soleri (Luigi Bosso), Sara D’Amario (Rina Fort), Margot Sikabonyi (Linda), Michela Capitoni (Vanessa Samantha).

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Il commissario Nardone – Promo

“Il commissario Nardone” Regia Fabrizio Costa. Soggetto Giovanni Cardillo, Marcello Olivieri, Andrea Purgatori, Vincenzo Scuccimarra. Sceneggiatura Andrea Purgatori, Marcello Olivieri, Silvia Napolitano, Stefano Voltaggio. Supervisore alla produzione Aldo Passalacqua. Produttore esecutivo Marco De Angelis. Coordinatore di produzione Olga Fileri. Regista Seconda Unità Giacomo Lesina. Assistente alla regia Simone Poggi. Montaggio Cosimo Andronico. Direttore della fotografia Max Trevis. Direttore della fotografia II unità Alessandro Signori. Operatore Alessandro Signori. Scenografia Giuseppe Pirrotta, Luigi Quintili. Costumi Luciano Capozzi. Truccatore Riccardo Incagnoli. Parrucchiere Claudia Bianchi. Edizione Post in Europe. Post produzione Quentin de Fouchecour. Musiche Maurizio De Angelis. Edizioni musicali CABUM srl. Produttori RAI Monica Paolini, Marta Aceto. Una coproduzione Rai Fiction - DAP Italy. Prodotto da Guido, Nicola, Marco De Angelis. Ufficio stampa DAP Studio Comin srl.

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